La musica che conta

“La musica è il suono elettrizzato in cui lo spirito vive, pensa e crea.” – così Beethoven descriveva la musica. Puro prodotto dell’animo umano, trascendente espressione di valori ultrasensibili. E allora come può la musica, frutto immateriale di emozioni che nascono nelle profondità del genio musicale, essere in relazione a regole e strutture invalicabili come quelle della matematica? La storia che intreccia queste discipline è antichissima e risale a più di 2500 anni fa. Fu infatti Pitagora, filosofo, matematico e pensatore della Grecia antica, ad accorgersi per primo che i rapporti armonici erano legati a rapporti numerici. Per affrontare lo studio della musica in modo rigoroso, Pitagora realizzò il monocordo, uno strumento composto da un nervo di bue che, teso sopra una cassa di risonanza e pizzicato, permetteva di emettere un singolo suono.
Questo strumento era caratterizzato da un ponticello mobile che consentiva di dividere la corda stessa secondo la lunghezza preferita, dando origine a suoni differenti. Da queste sperimentazioni Pitagora comprese che l’altezza del suono emesso dalla corda pizzicata era funzione della lunghezza della corda stessa. E non solo. Il filosofo di Samo si rese conto che i suoni emessi da una corda intera e da una corda lunga la metà erano all’orecchio istintivamente simili, due note uguali ma di altezze diverse (come ad esempio due Do successivi sulla scala musicale). Pitagora iniziò dunque a considerare che diverse coppie di note, che suonavano bene insieme, potevano essere tradotte in un rapporto numerico. I Pitagorici proposero una scala musicale composta da sette note, costruite attraverso una progressione aritmetica che prevedeva di partire da rapporti numerici corrispondenti ai diversi intervalli. Ad esempio, se il suono emesso da una corda intera è Do, il suono di una corda uguale ma di lunghezza pari a 2/3 della precedente sarà un La, nella teoria musicale occidentale noto come rapporto di quinta, mentre il suono emesso da una corda di lunghezza pari a 3/4 della corda intera corrisponde ad un fa, detto rapporto di quarta. L’intervallo tra due note successive, in rapporto 2:1 (tra Do e Do successivo), oggi chiamato ottava, era definito dai greci come intervallo di diapason, διὰ πασῶν,  ovvero <<attraverso tutte>> (le note). Mediante questi esperimenti Pitagora si accorse quindi che esisteva una chiara relazione tra rapporto numerico e rapporto armonico. L’aritmetica, che insieme alla geometria costituisce la matematica più antica, permette dunque di rappresentare la musica senza limitarne le possibili espressioni, consolidando la definizione di strumenti fondamentali, come le note e i rapporti armonici, che al contrario permettono proprio di formalizzare e condividere ciò che lo spirito suggerisce al genio musicale.
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Consideriamo un’ottava ed il suo corrispondente rapporto numerico:
Dividiamo questo intervallo in due parti, un intervallo di quinta ed uno di quarta:
Se, tra i rapporti armonici, l’ottava è ottenuta dalla somma di un intervallo di quinta ed uno di quarta, nei rapporti matematici è la moltiplicazione di 3/2 per 4/3 che ci permette di ottenere il rapporto 2/1. Pitagora scoprì dunque che l’addizione degli intervalli armonici corrispondeva alla moltiplicazione di quelli numerici. La conoscenza delle relazioni tra numeri e musica furono fondamentali alla nascita del credo Pitagorico, secondo il quale tutto l’universo era numero (razionale).
Ma non solo l’aritmetica trova applicazione nella musica. Per ragioni storiche, nella musica occidentale si è consolidato l’uso di un’ottava suddivisa in 12 parti uguali, detti semitoni (come in un pianoforte!). Il temperamento (accordatura) così costituito è detto equabile. L’idea di base sembra semplice: suddividere l’ottava in 12 intervalli elementari, tutti esattamente della stessa ampiezza. Tuttavia l’addizione di intervalli armonici richiede la moltiplicazione dei corrispondenti intervalli numerici: il semitono che stiamo cercando deve corrispondere a qualcosa che, sommato insieme 12 volte, deve risultare pari a 2 (2/1 è il rapporto di ottava). Il problema così posto possiede un’incognita! Siamo dunque passati ad una “nuova” matematica, l’algebra. In questo caso:
La soluzione del problema risulta:
un numero irrazionale (cioè non esiste nessun rapporto di numeri interi che sia uguale a questo numero). I Pitagorici non avrebbero potuto risolvere un problema di questo tipo, in quanto non conoscevano gli strumenti matematici introdotti, appunto, dall’algebra. Questo problema venne risolto dai musicisti del XVII secolo e rappresentò una vera e propria svolta per il mondo della musica. La scala musicale così ottenuta divenne il modello di riferimento occidentale, anche grazie a Johan Sebastian Bach, il quale dimostrò sistematicamente gli indiscutibili vantaggi del nuovo temperamento, attraverso la realizzazione di una raccolta di 48 preludi e fughe, in tutte le tonalità della scala temperata.
La musica Barocca non esaurì in questo modo il suo rapporto con la matematica. Le Variazioni di Goldberg, di J.S. Bach, rappresenta una collezione di Canoni dalla notevole complessità strutturale, all’interno delle quali il linguaggio della geometria permette di riconoscere una serie di trasformazioni spaziali e riflessioni adottate dall’autore per generare musiche in moto retrogrado o inverso, come si fa ad esempio con una parola o frase palindroma.
Fino a qui abbiamo scoperto come aritmetica, geometria ed algebra permettono di descrivere la musica ed i suoi strumenti, ampliando ed espandendo le nostre capacità di produrre suoni e melodie che muovono l’anima umana. L’ultimo campo della matematica che ci rimane da esplorare entra direttamente nel modo in cui tutti noi, oggi, siamo abituati ad ascoltare la musica.
Agli inizi del ‘900, i primi strumenti analogici di registrazione sonora sfruttavano la vibrazione di un ago indotta dal suono per tracciare dei solchi su dischi di cera, i quali venivano poi stampati su dischi in vinile che utilizzavano lo stesso meccanismo per riprodurre il suono registrato. Oggi, invece, i supporti che utilizziamo sono digitali, dall’inglese digit, ovvero <<cifra>>, che a sua volta deriva dal latino digitus, ovvero <<dito>>: con le dita si contano, appunto, i numeri. Infatti, se provassimo ad aprire, un file mp3 per vedere cosa si trova al suo interno, ebbene, troveremmo solamente dei numeri. Come è possibile rappresentare la musica attraverso i numeri? Per farlo servono strumenti matematici molto sofisticati, che appartengono a quella che si chiama analisi matematica o calcolo infinitesimale. La forma più semplice che conosciamo per rappresentare un suono è la sinusoide, ovvero la forma che può avere un seno o un coseno (qui siamo in trigonometria!).
Questa forma appartiene a suoni puri, semplici, come quello che può emettere un diapason, molto diversi dai suoni che udiamo ogni giorno, caratterizzati da forme molto irregolari come quella rappresentata nell’immagine sottostante.
Questa trasformazione la si deve a Jean Baptiste Fourier, famoso matematico dell ‘800, il quale riuscì a capire che qualunque funzione molto complessa, come quelle che descrivono i suoni che ci circondano, poteva essere rappresentata come la somma di tante funzioni semplici, ovvero di tanti suoni semplici come quello di un diapason. Sommando infinite funzioni sinusoidali, più lunghe o più corte, è quindi possibile rappresentare qualunque suono.
Per rappresentare una sinusoide bastano solo tre numeri: il punto di partenza (fase), la lunghezza d’onda e l’altezza (o ampiezza). Tre numeri per ogni sinusoide. Tuttavia, ogni suono complesso richiede infinite sinusoidi per essere rappresentato, le quali devono essere poi legate a tutti gli altri suoni che compongono un brano. Come può un singolo file contenere una serie infinita di terne numeriche? È necessario fare un’approssimazione, ovvero limitarsi ad un numero finito di numeri: tanti più saranno i numeri contenuti nel file musicale, tanto più accurata sarà la riproduzione del suono (e tanto sarà più grande la dimensione del file!). Questa è l’idea alla base della musica digitale: una serie finita di numeri per descrivere i suoni che ogni giorno solleticano le nostre orecchie, una serie finita di numeri per generare sensazioni e sentimenti attraverso la musica.
Gottfried Leibniz, uno dei più grandi matematici del XVII secolo si espresse così in merito alla musica – “La musica è il piacere che la mente umana prova quando conta senza essere conscia di contare.” – come possiamo dunque dargli torto, ora che anche per noi la matematica ha trovato un posto nella musica?
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